Ci sono stati molti spunti, anche filosofici, sull’interpretazione del paesaggio. Se lo consideriamo “natura” uno di questi ci dice che la natura in se non può essere bella perché è quello che è, passiva, inerte, variabile, incontrollabile. Ma è vero? Non lo so. Tanta iconografia pittorica, nei secoli, ci ha condizionato ad ammirare il paesaggio nella inquadratura data e nella forma descrittiva usata, basti pensare al Giorgione, agli impressionisti, ai macchiaioli. Noi fotografi vediamo il paesaggio in conseguenza di questi paradigmi e ne diamo la nostra interpretazione soprattutto attraverso l’inquadratura. Giuseppe Bernini ha dato massima importanza all’ulivo lasciandolo al centro dell’immagine e facendo convergere su di esso le nubi di un cielo sereno, la curvatura del terreno, la prospettiva dei fiori multicolori. L’albero è il protagonista, sopra di lui e partendo da lui una grande V apre il cielo azzurro, quasi per una elevazione. E’ una fotografia realistica nel senso che la fotocamera ha reso quello che ha visto? No. Non è mai così: è il pensiero dell’autore che attraverso l’obiettivo si è trasformato in immagine sua, d’autore appunto, e quell’ulivo antico e solitario diviene il simbolo della natura stessa, non di quella primordiale, ma di quella domata dall’uomo e che riflette l’uomo stesso.
Giorgio Tani